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I Misteri di Trapani
Collegio

Collegio

Nell’anno 1576 vennero in Trapani i PP. della Compagnia di Gesù, ed i giurati, per pubblico consiglio, assegnarono a loro la chiesa di S. Michele. Attigua a questa chiesa i Gesuiti fondarono il loro primo collegio per l’educazione della gioventù. L’attività, lo zelo e il disinteresse che i primi religiosi mostrarono per l’istruzione, nonché il favore che essi seppero acquistarsi presso il popolo, fecero sì che il collegio fu presto frequentato da molti giovani e il loro ordine venne arricchito da varie donazioni, fra le quali quella del territorio e delle tonnare d’Inici e Scopello, fatta da Lauranza Sanclemente, nobile e pia donna trapanese. Dopo che si arricchirono i Gesuiti pensarono di fabbricare in Trapani una chiesa proria, con un nuovo e più grande locale per le scuole e pel convento, nella strada principale della città.

A tale effetto Mariano Mongiardino diede la sua casa, il comune contribuì con onze duecento e col cedere i locali dell’antica dogana e, contro il volere del popolo, fu anche occupata una strada pubblica. Sorse così dopo pochi anni il grandioso edificio comprendente la chiesa, il convento e il collegio per le scuole. Il P. Domenico Stanislao Alberti dice che le fabbriche vennero iniziate nel 1580 e completate nel 1596, nel quale anno i Gesuiti si stabilirono numerosi nel nuovo convento. Architetto di questo grande edificio fu il gesuita Messinese natale Massuccio, però il prospetto della chiesa fu realizzato dall’ingegnere trapanese Francesco Pinna.

Il palazzo dei Gesuiti era senza dubbio il più grande, il più elegante e il più centrale della città. Esso comprende oggi la chiesa, l’Istituto tecnico e nautico, il Tribunale civile e penale, l’archivio notarile, la Conservazione delle ipoteche, l’ufficio del R. Demanio e le caserme delle Guardie municipali e delle Guardie di pubblica sicurezza. La facciata della chiesa, ricca di ornati in marmo, fa mostra di una ben sentita sveltezza mista ad un certo splendore di magnificenza; essa apre tre porte sul corso Vittorio Emanuele, vicinissimo al palazzo municipale; ai lati delle porte s’innalzano eleganti colonne con capitelli d’ordine corinzio, e sullo stipite della porta di mezzo due angeli sostengono lo stemma dei gesuiti, ornato di corona; sotto lo stemma vi stanno le parole: in nomine Domini Dei nostri invocabinus. Sull’alto delle porte fanno bella mostra due statue di donna che si ergono a modo di cariatidi.

L’interno della chiesa è diviso in tre navate da due file di colonne marmoree; la volta e le pareti della navata di mezzo sono decorate con grandi quadri di stucco a mezzo rilievo, toccati in oro, esprimenti rappresentazioni bibliche: sono essi lavori della perita mano di Bartolomeo Sanseverino, degno allievo di Giacomo Serpotta. La chiesa è dedicata all’ Immacolata concezione. Nell’altare maggiore si ammira un bellissimo quadro scolpito a mezzo rilievo su candido marmo rappresentate l’Immacolata.

Quest’opera di Ignazio Mirabitti è un vero capolavoro d’arte: l’immagine della Madonna è eseguita con rara finezza, ed ha l’espressione del volto pieno di amore e di bontà; le mani della Diva leggermente portate al petto, il velo del capo rivolto all’indietro e le pieghe del manto e della sottoveste, che appare dal lato sinistro sono eseguite maestrevolmente. Sul capo della Madonna è una colomba simboleggiante lo Spirito Santo, che coi sui raggi irradia il viso dell’immacolata. Nel cappellone si ammirano quatto pilastroni tutti intrecciati di fogliame, puttini e arabeschi fatti di marmo incastrati a mosaico; lavori che se non piacciono alle persone di gusto semplice e puro, ci fanno però restare estasiati nell’ammirare la stupenda forza di fantasia dei secentisti. Rappresentano essi i quatto elementi dell’universo cioè la terra, il fuoco, l’aria e l’acqa: la terra viene raffigurata con due personaggi che portano un grappolo s’uva; il fuoco col sacrifizio del patriarca Abramo; l’aria coll’arcobaleno e l’acqua col diluvio e col’arca di Noè.

Tutto il tempio doveva rivestirsi di marmi scolpiti e incastrati, a somiglianza di quelli dell’altare maggiore e della parete che introduce in sagrestia, ma la soppressione della Compagnia, avvenuta nel 1767, non permise che quest’opera meravigliosa fosse compiuta; tuttavia è questa la chiesa più artistica della nostra città e il governo italiano, riconoscendone i pregi, l’ha già dichiarato. E ben meritava di esserlo, perché la Madonna del Mirabitti, il presbiterio, il tabernacolo, i pilastroni anzidetti, la grata di pietra incarnata, che chiude il cappellone, e tutte le sculture di stucco sono lavori eseguiti con grande finezza e galanteria e ci attestano ciò che l’arte produsse in trapani nel seicento. Nel mezzo della navata principale, dalla parte destra, vi è un bellissimo pulpito fatto ad imitazione degli antichi rostri romani, cioè tutto incastrato di figure d’angeli a rilievo e a mezzo rilievo.

A destra del cappellone vi è la cappella dedicata a San Ignazio di Loyola, adornata pure di marmi incastrati e di piccole nicchie, dentro le quali si conservano reliquie di danti martiri e artistiche statuette di avorio. L’architetto di questa cappella fu il celebre Giovanni Amico. Il quadro in pittura del santo è opera di Guglielmo Borromanzi detti il Tedesco, e rappresenta quel santo istitutore nell’atto di ricevere da un angelo l’ispirazione di fondare la sua Compagnia. Sotto questo altare vi è adagiato ilfac-simile del corpo del martire S. Laureato, riccamente vestito all’eroina. A sinistra del cappelline vi è la cappella di San Francesco Saverio, con un quadro, che da alcuni si ritiene opera del Borromanzi, da altri di Pietro Novelli; comunque questa pittura, consistente in un San Francesco, vestito da sacerdote con tunica, superpelicio e stola, che resta in estasi, attratto dalla luce dello Spirito Santo, raffigurato da una colomba, è perfetta tanto nell’azione che nelle forme. Sotto l’ultimo altare della navata destra vi è una statua in marmo di Santa Rosalia, vergine palermitana, opera di Giacomo Tartaglio.

Il crocifisso in legno nell’altare che segue è lavoro eccellente di Giuseppe Milanti. Dentro l’altare della Madonna di Trapani si legge una lapide attestante che in quel luogo nel 1288 fu portata la statua della Madonna di Trapani venuta dalla Siria. Alcuni buoni quadri, che erano in questa chiesa, sono oggi al Museo, ne restano però ancora altri, fra i quali uno rappresentante la madonna Immacolata di Giuseppe Felice. La sagrestia della chiesa contiene un altro capolavoro d’arte del seicento: è questo un armadio in noce, dove sono pazientemente e minutamente scolpiti a mezzo rilievo alcuni quadretti storici, come la presa di Pamplona, la conversione di San Paolo e la caduta di Simone Mago; lavori del Trapanese Pietro Orlando. Adornano altresì l’armadio alcune statuette a rilievo e dei fregi intagliati a forma di ricami.Fonte: Tratto dalla Guida di Trapani, di Marco Augugliaro del 1914.

Salvatore Di Fazio, 20 giugno 2012